
L’Inter e lo spareggio del 1964: quando la Grande perse contro il Bologna (una partita che costò la vita a Dall’Ara)
Una sola volta lo scudetto è stato assegnato allo spareggio. Nel 1964, in un campionato con la classifica modificata a tavolino per un presunto doping. Il Bologna sconfisse la favorita Inter di Angelo Moratti: tre giorni prima un infarto aveva ucciso il presidente Renato Dall’Ara
«L’ultima (e unica) volta che successe c’era sempre l’Inter. Mancava, però, la tv. Lo spareggio per assegnare lo scudetto si poteva solo ascoltare. All’ora della partita la Rai trasmise l’Orso Yoghi e una puntata di Lassie. Per chi voleva sapere il risultato restava solo la radio. In fondo gli italiani c’erano abituati. La domenica la passavano con l’orecchio ad ascoltare «Tutto il calcio minuto per minuto».
E su quella domenica tutta da fantasticare Luca Goldoni scrisse un articolo indimenticabile. Girò per una Bologna deserta e spettrale a raccogliere le «urla del silenzio» e metterle nero su bianco. Era qualcosa accaduto sessantuno anni fa: 7 giugno 1964. Non andò bene ai nerazzurri. Anche se avevano appena conquistato la prima Coppa dei Campioni e, a settembre, avrebbero alzato il trofeo Intercontinentale — il Mondiale per club di allora. Si giocava di tardo pomeriggio. Anzi per essere più precisi: a las cinco de la tarde, per dirla alla Federico García Lorca. Non c’erano tori da matare e i vessilli che sventolarono, alla fine, erano sì rossi ma anche blu. Insomma: vinse il Bologna. Anche se allora faceva più elegante chiamarli “petroniani” o “felsinei”. L’Inter, invece, era solo l’Inter. Tutt’al più con l’aggettivo «Grande» davanti. Scusate se è poco.
Che fosse una partita strana s’era capito da un pezzo. Uno spareggio nato per riparare a un torto. O presunto torto. Il Bologna penalizzato per doping e poi riabilitato. Un giallo che si risolveva nel solito pasticcio. Come adesso in campo — quando non si riesce, o si vuole, decidere — ci si nasconde sotto l’ombrello della Var. Una storia di provette che non provavano l’uso di sostanze proibite. La classifica riscritta. Bologna e Inter che si trovano a pari punti e non ci sono più partite da giocare. Una settimana prima la tragedia. Nella sede della Lega calcio ci sono i presidenti degli emiliani Renato Dall’Ara e quello dell’Inter Angelo Moratti. Volano le rimostranze reciproche. La tensione di un anno a rincorrersi salta fuori in un colpo solo. Il numero uno dei bolognesi si sente male. Un infarto lo stronca. Non assisterà allo spareggio di Roma.
I tifosi il 7 giugno aspettavano la prima estate e il risultato del match con la radio che si sentiva anche fuori dalle finestre aperte. Il radiocronista Nicolò Carosio era Facebook, Instagram e X tutti insieme. Un social umano ante litteram. Tutti tifavano per l’Inter del Mago tranne quelli che non la potevano soffrire. E così a sperare nello scudetto del Bologna c’erano juventini e milanisti. Ad arbitrare Concetto Lo Bello, il re dei fischietti italiani. In campo giocatori dai nomi che sapevano di antico. Di Italia contadina, famiglie numerose, giornate interminabili da sgobbare.
Gente che si chiamava Tarcisio e Aristide. Giacinto e Paride. E anche i cognomi non erano mai di città, ma avevano il vento delle valli tra le consonanti e le vocali: Burgnich, Tumburus, Furlanis, Janich. C’erano portieri con maglioni e calzoncini neri come la notte e quello del Bologna, William Negri, anche un cappello con la visiera — che l’ultimo sole del pomeriggio dava fastidio agli occhi.
Il tocco di esotico negli stranieri che facevano sognare. Da una parte la classe latina di Suárez e Jair, dall’altra la potenza nordica di Haller e Nielsen. In mezzo tutto e solo il bello del calcio.